IL PATTO DI FAMIGLIA E BENEFICI FISCALI
Il “Patto di Famiglia” è il contratto con il quale l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte la propria azienda (o le proprie quote di partecipazione) ad uno o più discendenti specificamente individuati. Nasce con lo scopo di adeguare il diritto successorio alle ormai mutate esigenze del sistema sociale ed economico.
Proprio nell’ottica di agevolare il passaggio generazionale dell’azienda, l’art. 3, comma 4-ter, D.lgs. n. 346/1990 prevede con il patto di famiglia anche benefici fiscali, in particolare, a particolari condizioni, l’esenzione dall’imposta di donazione al trasferimento di partecipazioni operato a favore dei discendenti o del coniuge del donante. In particolare, tale norma prevede che “Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento”.
PATTO DI FAMIGLIA E IL REQUISITO DEL CONTROLLO
A tale proposito, la Corte di Cassazione, con sent. n. 6591 del 10 marzo 2021, si è espressa circa il requisito del mantenimento del controllo tracciandone puntualmente i confini.
Nel caso di specie, il titolare del 99% del capitale sociale di una S.p.A. cedeva ai tre figli il 74% del capitale sociale, attribuendo, precisamente, a due di essi il 24,5% ciascuno e al terzo il 25%. I beneficiari, successivamente alla stipula del patto di famiglia, al fine di soddisfare il requisito di cui sopra, avevano stipulato un “patto parasociale” nel quale prevedevano che i diritti dei comproprietari sarebbero stati esercitati da un rappresentante comune che avrebbe avuto a disposizione la maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria. Il controllo societario, dunque, era assicurato solo da un patto parasociale accessorio.
Ai fini dell’esenzione prevista ex art. 3, comma 4-ter, D.lgs. n. 346/1990, è possibile ritenere soddisfatto il requisito del controllo? L’Agenzia delle Entrate riteneva che il trasferimento del capitale sociale, così come realizzato tramite il patto di famiglia, non fosse in linea con quanto previsto dall’art. 2359 c.c., atteso che le partecipazioni, se considerate con distinto riferimento a ciascun beneficiario, non avrebbero raggiunto le soglie previste dalla disposizione civilistica.
QUANDO DEVE RITENERSI REALIZZATO DAVVERO IL CONTROLLO DELLA SOCIETA’?
La Corte di Cassazione sottolinea che il “controllo” della società si realizza qualora si disponga della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria della società, ossia si detenga più del 50% delle quote o azioni della stessa, con diritto di voto nell’assemblea ordinaria. Con specifico riferimento al caso in esame, la Corte afferma che il patto parasociale, successivo ed accessorio al patto di famiglia, con il quale i legittimari beneficiari del patto convengono misure per assicurare il controllo societario ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., comma 1, non è idoneo a integrare i presupposti del trattamento agevolativo ex art. 3, comma 4-ter, D.lgs. n. 346/199, poiché questi devono sussistere, per espressa previsione normativa, al momento della stipula del patto. Inoltre, la Cassazione ricorda che i patti parasociali sono vincolanti esclusivamente tra le parti contraenti e, dunque, non possono incidere direttamente sull’attività sociale, venendo così meno la possibilità concreta ed effettiva del controllo societario indispensabile ai fini dell’esenzione dall’imposta. La cessione contestuale del disponente di più quote societarie, per usufruire dell’esenzione, deve consentire che sia realizzato l’effettivo passaggio generazionale dell’impresa conservandone l’unitarietà e la funzionalità mediante il totale trasferimento del controllo di diritto dai disponenti ai discendenti, secondo la ratio legis del patto di famiglia e del beneficio fiscale.